IL BASTONE E IL VINCASTRO

Oggi pubblichiamo un racconto di Giovanni Piazza, Autore che ha partecipato al concorso Parole di Pane e vincitore di uno dei tre premi speciali. Leggete e buon divertimento.

<<Sed et si ambulavero in valle mortis non timebo malum quoniam tu mecum es…». Il latino non gli piaceva, a padre Mistretta. Per questo lo innervosiva concentrarsi sull’Officium Divinum, usus antiquior. A complicare le cose, il miscuglio maligno di tre fastidi. Primo: il caldo appiccicoso di luglio, che lo costringeva a tenere aperta la finestra e subire perciò i disturbi numero due e tre. Nell’ordine: il baccano dei muratori, che lavoravano da un mese proprio nel cortile sotto la finestra; infine, la più insopportabile delle tre piaghe, la lite furiosa dei vicini.
Nardo gridava più di tutti. «Qua dentro a quello non ce lo voglio. E se lo vedo passare dalla strada gli spacco le corna». Si alternava con sua sorella Sasà, che non gli faceva credenza e pure lei si sapeva difendere: «Vai a comandare a casa tua, vediamo se le corna non te le spacca tua moglie». La conversazione andava avanti così: a ogni frase di Nardo succedeva la replica appuntita di Sasà. Ogni tanto si sentiva pure la voce di Peppe, che cercava di dare aiuto a suo fratello Nardo, mentre più raramente arrivava un commento di mastro Cola, il padre dei tre litiganti. Si limitava a infilare qua e là un generico «buttana della miseria», giusto per dire qualcosa pure lui, visto che da padrone di casa stava diventando garzone.
Ora, neanche se il breviario fosse stato in siciliano stretto padre Mistretta avrebbe capito le parole che gli rimbalzavano sotto agli occhi e non si facevano acchiappare. A un certo punto gli venne voglia di affacciarsi alla finestra e tirarglielo in testa, quel breviario. Si limitò a chiuderlo di scatto e a restare per qualche secondo con gli occhi chiusi e le mani giunte, con il libro nel mezzo. Uscì dalla sacrestia.
«Che abbiamo, mastro Cola?», chiese girando l’angolo del cortile.
«Mia figlia si vuole sposare a uno e ai miei figli non gli piace.»
«È sdisonorato», si intromise Nardo, «non è uomo degno di entrare qua dentro.»
«Mii, non è uomo degno di entrare qua dentro e vedere te?», chiese il sacerdote.
«Parrì, suo padre e sua madre si sono lasciati!»
«E lui, mischino, che c’entra?»
«E lui è pure sdisonorato. Vossìa che è parrino, uomo di Chiesa, lo sa meglio di me.»
«
E tu, Sasà, che dici?»
«
Che io a Turi gli voglio bene. E che i miei fratelli devono andare a comandare a casa loro, no a casa di mio padre.»
«E tu, Peppe, che dici?»
«
Che mio fratello ha ragione, parrì.»
«
E vossìa, mastro Cola, che mi dice?»
«
Io ai miei figli tutti contenti li voglio. Se Sasà è contenta di prendersi a Turi, che è uomo bravo e onesto lavoratore, io pure contento sono.»
«E però non siamo contenti noi», replicò Nardo, facendo due passi fino a trovarsi proprio davanti a padre Mistretta. Che non arretrò di un millimetro e gli chiese:
«Ma tu non sei sposato? Non sei uscito dalla casa di tuo padre? Che ci fai qui a dettare legge?»
«Io dico che vossìa che è parrino lo sa meglio di me che Turi non è degno di prendersi a mia sorella.
»
«
Non tocca a te decidere.»
«
Si faccia i cazzi suoi.»
Padre Mistretta portò il braccio destro dietro alla schiena per dare più forza alla mano. Quando lo schiaffo gli arrivò sulla faccia, Nardo cambiò espressione in un attimo. Fece due passi indietro e andò a sbattere contro il muretto basso del calcinaio, dove i muratori spengono a secchiate la calce viva. Perse l’equilibrio e cadde dentro, disegnando la sua sagoma nella calce. La prima cosa che gli riuscì di fare fu gridare il nome di Peppe. Peppe fece di corsa quattro passetti che si conclusero proprio davanti a padre Mistretta e riuscì a chiedere solo:
«
Parrì?»
Per dire: ma come, un parrino ora si mette a dare schiaffi? E poi, dove la trova un parrino di sessant’anni suonati la forza di dare questi leccasaponi che stordiscono un uomo robusto come mio fratello?
Padre Mistretta pensò che Nardo, non potendo porgere cristianamente l’altra guancia, gli offrisse quella di suo fratello. E lui ne approfittò subito. Stesso suono secco, sensazione di mascella legnosa e di barba mal fatta, gambe all’aria sul muretto basso del calcinaio. Fiocchi bianchi, la neve a luglio.
«Buon giorno mastro Cola, buon giorno Sasà», disse educatamente il pastore di anime.
Tornò beato in sacrestia, proprio come un pastore che è riuscito a riportare all’ovile tutte le sue pecore dopo la tempesta. Riprese il breviario dal punto in cui lo aveva lasciato ed ebbe quasi l’impressione che il latino gli suonasse un poco più familiare di prima.
«Non timebo malum quoniam tu mecum es. Virga tua et baculus tuus ipsa consolabuntur me».

Dì la tua. Chi ha ragione?